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Al carcere Dozza si vive tra topi, blatte, muffe e vecchie “bocche di lupo”

Presenza di topi nelle sezioni, muffa, blatte che infestano le celle, sovraffollamento e reparti che andrebbero chiusi perché inidonei. È quanto illustrato dalla Garante dei detenuti del Comune di Bologna Elisabetta Laganà nella sua dettagliata relazione annuale del 2016 riguardante il carcere bolognese della Dozza.

Nella relazione si evidenziano alcune criticità a seguito di un sopralluogo: le docce comuni della sezione 3A e D, con il soffitto scrostato e ammuffito; è stata segnalata dai detenuti la presenza di scarafaggi anche nelle celle, praticamente in tutte le sezioni; al 2° piano sezioni A, B e C D le docce presentano muffe; al 2° piano i pavimenti sono ancora da rifare, essendo ancora quelli originari di materiale poroso, così come necessiterebbe di ritinteggiatura il corridoio; al 1° piano sezione A le docce presentano muffe; nella sezione penale è stata chiusa la Cappella che aveva subito ingenti danni a causa del crollo di una parte del soffitto derivato dalle infiltrazioni dei locali degli agenti posti al piano superiore. Altro problema segnalato dai detenuti è la presenza delle cosiddette “bocche di lupo”, collocate a protezione della finestra del corridoio del braccio B.

La relazione, per spiegare questa criticità, fa riferimento all’interessante intervista “Quarant’anni da sorvegliante colloquio con Francesco Maisto a cura di Claudio Sarzotti” pubblicata nel XXII Rapporto Annuale di Antigone 2016 “Galere d’Italia” dove si fa cenno a questa obsolescente struttura che fu, in passato, oggetto di rivolte tra i detenuti. Esse sono, come viene riportato nell’intervista dell’ex magistrato di sorveglianza Maisto, “finestroni che non danno la possibilità di vedere dall’esterno, ma che consentivano solo il passaggio dell’aria e della luce. Proprio come la bocca aperta di un lupo. Riuscii a farle demolire tutte”. Nel caso della sezione B penale del carcere bolognese esse impediscono all’aria di circolare, con conseguente aggravio, sia della temperatura nel periodo estivo, che per il ricambio necessario a causa del fumo di sigarette che circola nella sezione. La presenza di esse è stata oggetto di un recente reclamo collettivo al magistrato di Sorveglianza di Bologna dei detenuti ivi ospitati, inviata anche all’ufficio della garante. La relazione sottolinea che le “bocche di lupo” in molte carceri sono state completamente abolite.

Altro problema segnalato riguarda la fornitura dell’acqua calda. Criticità che riguarda soprattutto i piani più elevati, in particolare al 3°, provocati dagli abituali problemi dell’impianto di riscaldamento dovuti alla suo deterioramento. Il problema del riscaldamento ed erogazione di acqua calda coinvolge solitamente anche il personale di Polizia penitenziaria. Il disagio patito è stato oggetto di un reclamo collettivo da parte dei detenuti, che oltre avere esposto la problematica all’ufficio della garante, hanno inviato formale reclamo collettivo al magistrato di Sorveglianza di Bologna. A seguito del protrarsi del disagio, anche le camere Penali di Bologna avevano rivolto una segnalazione alle istituzioni competenti chiedendo che la grave situazione fosse immediatamente superata, per il ripristino delle condizioni di detenzione nel rispetto dei principi espressi nella Costituzione e nella Convenzione europea per i diritti dell’uomo previste per il trattamento da garantire alle persone private della libertà personale.

La garante Laganà spiega nella relazione che c’è un problema di risorse. Annota che a fronte di un consistente aumento della popolazione detenuta avvenuto negli ultimi anni, non vi è stata una conseguente risposta da parte dell’Amministrazione penitenziaria nel destinare fondi per la manutenzione degli istituti, alcuni dei quali realmente malmessi e obsolescenti. Per denunciare l’enorme divario tra la cifra necessaria e quella disponibile, nella relazione viene riportato un incontro pubblico durante il quale il Provveditore regionale Pietro Buffa ha affermato che per garantire una manutenzione negli istituti di pena italiani servirebbero 50 milioni di euro, mentre ce ne sono solo 4 a disposizione.

La Garante non risparmia di denunciare anche il Reparto Osservazione Psichiatrica istituito nella sezione femminile nel febbraio 2016. Più volte ha sollecitato la chiusura perché “totalmente inadeguata alle gravi problematiche da cui le persone che la occupano sono affette”. Spiega che tale reparto, in contrasto con il dettato normativo, si presenta come una qualsiasi sezione penitenziaria di piccole dimensioni. Situata in zona di accesso alla sezione femminile, è composta di due celle che affacciano su un corridoio ed è distante dall’infermeria. Per la peculiare collocazione del reparto, le detenute sono sorvegliate dal personale di Polizia penitenziaria che è assegnato alla sezione femminile. Non è dunque garantito, come invece espressamente richiesto dalla norma, che gli operatori professionali e volontari che vi svolgono attività siano selezionati e qualificati con particolare riferimento alle peculiari esigenze di trattamento dei soggetti ivi ospitati. Altro problema denunciato dalla relazione è riferito ai costi del cosiddetto “sopravvitto”, cioè i generi alimentari e non che possono essere acquistati dai ristretti, in aggiunta al vitto somministrato dall’istituto, tramite elenchi dei generi a disposizione forniti da una ditta che stipula appalti regionali con gli istituti di pena del territorio. Chi gestisce il sopravvitto – viene denunciato nella relazione annuale – è la stessa ditta che fornisce i pasti, in regime quindi di esclusiva. L’ufficio della Garante dei detenuti riceve segnalazioni riferite sia al vitto che al sopravvitto sia per la qualità che per i costi, che vengono segnalati come notevolmente più alti di quelli indicati nei normali supermercati.

Per concludere non manca la denuncia del sovraffollamento (al momento della relazione erano presenti meno di 700 persone, che però ad oggi sono già salite a 737) che “oltre a comportare evidenti problemi di vivibilità e di privacy, è complicato dall’usanza di utilizzare il bagno della cella come deposito per gli alimenti”.

 Damiano Aliprandi da il dubbio

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