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Polizia che cala i caschi…c’è da fidarsi????

I gesti distensivi compiuti da molti agenti davanti al movimento dei forconi è stato interpretato in vari modi. Solidarietà con i manifestanti, semplice cessazione del servizio, simpatia con una protesta giudicata destrorsa. Ogni spiegazione è possibile perché non sappiamo quasi nulla di quel che avviene nelle caserme, di qual è il clima culturale che vi si respira. Intanto il capo della polizia chiede semplificazioni e giudica superata la riforma democratica del 1981. Pubblichiamo gli interventi di Lorenzo Guadagnucci, giornalista e “reduce della macelleria messicana alla scuola Diaz di Genova”, di Ciro D’Alessio operaio Fiat di Pomigliano e del Centro Sociale la Talpa e l’orologio di Imperia

A leggere i commenti al caso dei poliziotti che in diverse città si sono tolti il casco di fronte ai partecipanti alle proteste del cosiddetto movimento dei forconi, si capisce che la questione polizia in Italia è caratterizzata da un altissimo livello di opacità. Sappiamo così poco di quel che realmente avviene dentro le caserme, di che cosa pensano gli agenti e soprattutto i loro capi e alti dirigenti; abbiamo una conoscenza così approssimativa del clima culturale che si respira in quei luoghi chiusi, che ogni spiegazione è possibile.

La gerarchia -dai questori in su- spiega l’inedito comportamento minimizzando: tutto sarebbe avvenuto perché erano cessate le esigenze d’intervento e su precisa indicazione dei comandanti.
Altri osservatori -compresi alcuni sindacati di polizia (Siulp)- dicono che il gesto aveva un preciso significato di solidarietà con i manifestanti e con le loro ragioni. Altri sindacati di polizia (Siap, Silp, funzionari) negano che ci sia stato un intento simile, parlano di strumentalizzazione e si rifanno alla versione ufficiale dei questori.

Beppe Grillo ha accolto il gesto di distensione con grande favore, parlando di poliziotti che provengono del popolo e arrivando ad arringarli contro i politici (la casta) con un’accorata lettera aperta. Una presa di posizione che ha suscitato la reazione sdegnata di vari dirigenti politici (Lupi, Vendola, Boldrini, Morani), preoccupati che così si getti la classica benzina sull’altrettanto classico (e sconosciuto) fuoco.
Altri ancora temono che l’anomalo gesto distensivo abbia a che fare con la particolare natura della protesta dei forconi, tendenzialmente destrorsa secondo la valutazione più diffusa. Solo perciò gli agenti avrebbero simpatizzato con i manifestanti, come non avrebbero fatto se la protesta avesse avuto una qualificazione sinistrorsa.

È difficile dire quale sia la versione più rispondente al vero. Se abbiano ragione i questori a minimizzare o Beppe Grillo a intravedere in quel gesto distensivo una condivisione della protesta “contro la crisi” o ancora chi teme un’esplicita deriva a destra . Tutto è possibile e ci vorrebbe un’interpretazione autentica e autorevole da dentro. Ma da troppi anni la polizia di stato ha una relazione labile e ambigua con il resto della società. Specie dopo Genova G8 la chiusura corporativa è stata ermetica, grazie alla copertura acritica garantita dal potere politico. E così niente o quasi niente sappiamo e capiamo di quel mondo, che pure svolge un ruolo così delicato nella società, specie in periodi difficili e tesi come quelli che stiamo vivendo.

Nei giorni scorsi il capo della polizia Alessandro Pansa ha detto che la riforma dell’81 non ha mantenuto le sue promesse e che occorre quindi una nuova riforma, nel segno della semplificazione. La riforma dell’81 similitarizzò la polizia, la aprì alla società, mise l’idea della prevenzione davanti alla logica della repressione. Col tempo il senso di quella riforma è stato svuotato, come dimostra – nel suo piccolo – anche il caso dei caschi calati di fronte ai forconi e la difficoltà di interpretarlo. Pansa intende forse dire che è ora di seppellire definitivamente quella riforma? Proprio ora?

Lorenzo Guadagnucci da altreconomia

Leggi anche approfondimento sui sindacati di Polizia, tratta dal numero di dicembre 2013 di “Altreconomia”
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Ciao poliziotto!
Sono uno degli operai che il 15 giugno era ai cancelli di Pomigliano la fabbrica Fiat, ricordi? Sono uno di quelli che cercava di spiegare ai suoi colleghi perché eravamo lì, ero io quello che insieme ai miei compagni gridava che non era giusto che in una fabbrica dove più di 1500 operai sono in cassa integrazione l’azienda comandasse i sabati di straordinario (per di più pagati in ordinario!), ero uno di quelli che cercava di spiegare anche a te che la soluzione poteva essere la redistribuzione equa del lavoro mediante il contratto di solidarietà.
Che bella parola, solidarietà!
Ricordi?
Io ricordo tutto!
Ricordo che nella migliore delle ipotesi alle mie istanze la tua risposta era ” non voglio nemmeno sentire non sono problemi miei, sono qui a fare il mio lavoro”, ricordi?
Ricordi quando io è miei compagni ci fermavamo vicino ai nostri colleghi per cercare di spiegare perché eravamo lì e tu li avvicinavi ordinandogli di entrare a lavoro, ricordo quando prendesti uno di noi è lo identificasti perché ti chiedeva il perchè del tuo comportamento.
Ricordo un compagno a terra e voi attorno in cerchio con la faccia di chi non sa nemmeno perché è lì quel giorno, quasi come se non vi importasse del dramma che si stava consumando.
Io ricordo tutto, e ricordo che il casco non lo toglieste nemmeno per un momento, ricordo che i manganelli erano ben saldi nelle vostre mani.
Oggi ho visto delle scene, e mi viene spontaneo chiedermi, perché? Perché oggi si è allora no? Cosa è cambiato? Forse eravamo stati noi a non sapervi convincere? E pure non ricordo né bombe carta e né molotov.
Qualcuno dice che è per il colore che porto in giro con tanto orgoglio, beh forse sarà così o forse no, non lo so, ma quello che so e che a breve ci rincontreremo, perché i nostri problemi sono sempre li è la nostra voglia di lottare é sempre viva.
Ebbene quando quel giorno arriverà, e fidatevi che non aspetteremo molto, vedremo se davvero qualcosa è cambiato oppure come dicono i maligni oggi pomeriggio la differenza l’ha fatta il colore di una bandiera.

Ciro D’Alessio operaio Fiat
delegato FIOM
da contropiano
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Alla Diaz i caschi li avevate ben allacciati

“Una novità, da questa città sonnolenta, borghese, tranquilla, l’abbiamo vista. Un territorio distrutto dalla crisi, con tutte le progettualità di espansione fallite, senza più né sogni, né tranquillità, sta ribollendo. Lunedì mattina un corteo eterogeneo, senza categorie di sorta, comunque immenso, era in piazza.
Disoccupati, lavoratori, alcuni studenti, proprietari di piccole imprese, commercianti e gente distrutta dalla crisi. Nuova povertà e denaro eroso. Situazioni da analizzare, da capire. Noi eravamo lì – scrivono quelli della Talpa e l’orologio di Imperia – e abbiamo solidarizzato con quella massa inconsueta di persone in difficoltà, arrabbiate e deluse dal sistema”.
Il racconto diventa anche denuncua: “Finito il corteo la situazione ha iniziato ad intorbidirsi. Le piazze ed i blocchi, erosi nel numero – non abbiamo timore di dire quello che abbiamo visto – sono state coordinate dalle forze dell’ordine. Abbiamo visto un’ enormità di plotoni comparire e scomparire ad hoc. Stazioni bloccate per ore da poche decine di persone con il consenso della forza pubblica, azioni per le quali studenti ed operai sono stati sempre avversati duramente. Blocchi, fatti a volte da soli 5 o 6 manifestanti, inspiegabilmente tollerati da polizia e carabinieri. Un stuolo di facce mai viste, venute da fuori, a dirigere le piazze. Tensioni continue tra popolo bloccato e popolo bloccante. Presidi sciolti per magia da paroline di agenti sussurrate all’orecchio giusto nel momento magico. Decine di testimonianze dirette “mi ha chiamato un amico carabiniere e mi ha detto di chiudere”, in luoghi della città dove non erano presenti manifestanti.
La presenza di “Scullino” e di alcuni amici nei presidi non ci conforta. La voglia e la sperimentazione scientifica di non gestire o gestire scientemente, secondo disegni ancora scuri, la piazza in modo imprevedibile è ormai chiara. E, in ultimo, durante il secondo giorno, la presenza massiccia di fascisti venuta da fuori spezza tutti i ragionamenti fatti fino ad ora. La città, a questo punto della manifestazione, è in preda a caos, isteria e paura, elementi inoculati nel calderone con fine abilità. La città è furibonda e fuori di sé, e non stiamo parlando dei manifestanti”.
La Ligura, dimostrano in uno dei centri sociali più interessanti del nord – resta un osservatorio importante e un luogo di Memoria di ciò che si muove nella società: “Noi partiamo dal presupposto che una rivoluzione, quando è spontanea e tenta fortemente di forzare il sistema, viene repressa e ostacolata dal sistema stesso, sopratutto da quelle persone (denominate forze dell’ordine) pagate e che hanno giurato di garantire lo status quo. Non ci risultano rivoluzioni appoggiate e strumentalizzate dalla forza pubblica, a parte quella degli anni 20. Alla DIAZ i caschi li avevate ben allacciati. Abbiamo una memoria di ferro e tanta voglia di stare in campana. Imperia è antifascista e non ha paura!”.

Centro Sociale “La Talpa e l’Orologio” Imperia
da Comune-info

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