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I 393 naufraghi supplicavano: ‘meglio morti che in Libia’ e invece sono stati riportati all’inferno

Per l’emergenza a bordo del barcone  il governo italiano ha sollecitando un intervento della Libia. «Ci avete ingannato stiamo tornando nell’inferno libico» La denuncia di Alarm Phone: «Adesso minacciano di uccidersi»

Tutti sani e salvi, e riportati indietro, i 393 immigrati recuperati dalla Guardia Costiera libica nella giornata di ieri. Lo fa sapere il Viminale. In particolare, 143 sono stati riportati a Tripoli, 144 a Misurata, 106 ad al-Khoms. “La collaborazione funziona, gli scafisti, i trafficanti e i mafiosi devono capire che i loro affari sono finiti. Meno partenze, meno morti, la nostra linea non cambia”, commenta il ministro dell’Interno Matteo Salvini.

Di Maio, salvataggi in mare spettano a Libia  – “Abbiamo richiamato la guardia costiera libica perché ci aspettiamo da loro i salvataggi in mare”. Lo ha detto il vicepremier Luigi Di Maio parlando a Rtl 102,5 della nuova emergenza migranti di ieri. Nel corso della trasmissione, il vicepremier ha poi ribadito le critiche alla Francia ed è tornato sul ‘franco delle colonie’ con cui Parigi “impoverisce” l’Africa. “Per far restare gli africani in Africa – ha sottolineato – basta che i francesi stiano a casa loro. La Francia cominci ad aprire i porti. I migranti li portiamo a Marsiglia finché non la smettono di stampare a Lione la moneta per l’Africa”.

Secondo quanto riferito in un tweet da Alarm Phone, che ieri aveva segnalato l’emergenza parlando di una situazione disperata a bordo, i migranti verranno fatti sbarcare a Misurata. Per l’organizzazione, questo “violerebbe le leggi internazionali”, riportando i migranti dopo 24 ore in mare “nell’inferno della Libia”.

Per l’emergenza a bordo del barcone si era mosso ieri il governo italiano sollecitando un intervento della Libia. “Siamo in continuo contatto con la Guardia costiera libica – si leggeva ieri in una nota di Palazzo Chigi – perché effettui questo ulteriore intervento e mettain sicurezza i migranti che sono a bordo”. “Dopo vari giorni di mare agitato – si sottolineava poi – i trafficanti di esseri umani hanno riapprofittato di questo weekend di mare calmo per agire nuovamente”.

Era stato Alarm phone domenica mattina a inoltrare la richiesta di soccorso. Le condizioni del gommone sono però degenerate rapidamente, dal battello l’appello drammatico di uno dei naufraghi: «Non ho bisogno di essere al telegiornale, ho bisogno di essere salvato». E ancora: «Stiamo congelando, siamo disperati». Il resoconto dei volontari è drammatico: «Abbiamo chiamato sette numeri differenti della cosiddetta Guardia costiera di Tripoli senza risposta. Malta ci ha fornito un ottavo numero, che non risponde. Abbiamo avvisato Italia e Malta che la Libia non è raggiungibile. Nessuno ha attivato il soccorso». Domenica pomeriggio è arrivato un velivolo dell’operazione Ue Sophia, solo intorno alle 22 la Lady Sham ha cominciato le operazioni di trasbordo.

«Erano in acque internazionali quando sono stati salvati – ha poi spiegato Alarm phone -, dunque sono stati illegalmente riportati nella Libia sconvolta dalla guerra. Questo viola le leggi internazionali». Opinione condivisa dall’Unhcr che, con Carlotta Sami, sottolinea: «Il ritorno di persone da acque internazionali verso la Libia è contro il diritto internazionale. Si dice che è stato un successo aver fermato questo barcone ma è stato ottenuto sulla pelle delle persone».
Per giustificare il mancato intervento, la Guardia costiera libica ha diffuso un report: domenica sarebbero stati recuperati 393 migranti in tre interventi. In quanto ai cento, Tripoli sostiene di avere assunto il coordinamento del salvataggio inviando però il cargo per carenza di motovedette. Venerdì scorso sono annegati in 117, in quel caso il mancato intervento è stato attribuito a un’avaria. «L’Italia conosce la nostra situazione, chiediamo maggiori aiuti all’Ue» ha concluso l’ammiraglio Ayoub Qassem. Un richiamo al governo gialloverde, che aveva promesso addestramento e nuove navi, per ora non consegnate.

Non hanno ancora un porto di sbarco i 47 salvati sabato dalla Ong Sea Watch: «Siamo in mezzo al mare, nessuno ci dice dove andare né sappiamo di chi è il coordinamento dell’operazione». Anche a bordo della Sea Watch 3 i migranti sono preoccupati: «Non vogliono tornare nei lager libici – ha spiegato la portavoce dell’Ong, Giorgia Linardi -. Quando hanno saputo che la Lady Sham era diretta in Libia hanno commentato: ’Li stanno riportando all’inferno’. È un altro caso Nivin». Il riferimento è ai 79 che lo scorso novembre si rifiutarono di scendere nel porto libico dove erano stati ricondotti. Per Linardi l’Italia sta avallando un respingimento: «Palazzo Chigi è intervenuto nel coordinamento dei soccorsi, c’è quindi una responsabilità italiana. Il ministro Toninelli non considera i trattati internazionali. Oltre al principio di non respingimento, è stato violato il diritto del mare: la Libia non è un porto sicuro».

Sulla Sea Watch 3 ci sono 8 minori non accompagnati, il tempo è in peggioramento: la nave è al largo di Tripoli, la priorità è trovare un riparo dal mare in tempesta. Nel precedente salvataggio ci sono voluti 19 giorni per ottenere il porto di sbarco. «Mandiamo mail a tutti: Malta, Italia, Libia, Olanda e nessuno dice nulla – conclude Linardi -. I libici non hanno mai risposto. Si ignorano di nuovo le norme internazionali sullo sbarco in un porto vicino e sicuro».

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