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28 settembre 1978 – Roma i Nar ammazzano Ivo Zini

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Tre ragazzi Vincenzo De Blasio, Luciano Ludovisi e Ivo Zini, sono fermi davanti alla sezione del Pci di via Appia Nuova. Da una vespa bianca scendono due individui con il volto coperto, sparando verso i tre ragazzi. Ivo, colpito al torace, muore in ambulanza. La stessa sera i neofascisti dei Nar rivendicano la paternità dell’attentato.

«Che morte assurda», aveva commentato un anno prima quando, il 30 settembre 1977, a Viale Medaglie d’Oro Walter Rossi era stato ucciso con un colpo alla nuca. Non poteva immaginare che da lì a un anno sarebbe toccato a lui, che nemmeno poteva definirsi un militante, morire ammazzato. Anzi: «Barbaramente assassinato dai fascisti», come recita la targa di marmo messa dai cittadini del quartiere Alberone sul muro della vecchia sezione del Pci di via Appia Nuova per ricordarlo. È lì che Ivo Zini fu ucciso a venticinque anni, davanti alla bacheca dove ancora adesso dai militanti più anziani viene affissa ogni mattina una copia murale de l’Unità. Era il 28 settembre 1978. Ivo stava leggendo la pagina dei cinema.

«Quella sera la sua ragazza non si sentiva bene e Ivo non sapendo che fare si avvicinò alla bacheca della sezione dell’Alberone per leggere sull’Unità la pagina dei cinema», ricorda suo fratello Aldo, che oggi ha 57 anni. Ivo, l’ultimo di quattro figli, era più piccolo di lui di due anni: «Si era laureato a giugno in Scienze Politiche, aveva passato le nottate sulla macchina da scrivere che avevamo nel piccolo studio messo su da me e dall’altro fratello più grande», racconta Aldo. Quanto alla politica: «Ivo era un ragazzo di quegli anni, gli stavano a cuore i diritti civili, ma non era “impegnato”. Aveva già fatto un concorso per entrare in banca, un mese dopo la morte arrivò la notizia che lo aveva vinto».

Il marciapiede davanti ai lotti di case popolari, con la sezione del Pci da una parte e il comitato degli autonomi dall’altra, era un punto di ritrovo per i ragazzi del quartiere. Ivo quella sera si era visto con Vincenzo De Blasio, 28 anni, e Luciano Ludovisi, 30 anni, iscritto alla cellula comunista dell’Alitalia. Erano insieme davanti alla bacheca della sezione quando all’improvviso si ferma un “vespone” bianco con due ragazzi che, a volto coperto, cominciano a sparare. Quattro colpi: quello mortale è per Ivo, raggiunto al petto, due sono per Vincenzo, ferito alla gamba e al polso, uno finisce sul muro, Luciano resta illeso. «La morte di Ivo per la città fu l’inizio del coprifuoco», racconta Aldo: «Quella volta avevano deciso di colpire a casaccio». La sera stessa l’agguato viene rivendicato dai Nuclei armati rivoluzionari con una telefonata al Messaggero. Il giorno dopo «giovani e lavoratori» scendono in piazza nel nome di «Ivo e Walter»: «Siano processati gli squadristi», recitavano gli striscioni.

Nessuno è stato condannato per quelle due morti. Per l’omicidio di Walter Rossi il processo vero e proprio non è mai iniziato. Cristiano Fioravanti, arrestato per appartenenza ai Nar, ammise di avere in pugno una pistola, quel giorno ma attribuì l’omicidio ad Alessandro Alibrandi. E il procedimento, morto Alibrandi, fu archiviato. Per l’omicidio di Ivo Zini, Mario Corsi detto “Marione” condannato in appello a 23 anni, fu prosciolto dalla Cassazione nel 1989.

«La verità la sapevano tutti, ma il processo rimase su base indiziaria», si addolora Aldo, l’unico della famiglia che ha seguito ogni grado di giudizio. «Alla fine è stato un altro cucchiaino di fiele che ho dovuto mandare giù», ripete Aldo.

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