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27 settembre 1960: La mafia uccide il sindacalista Paolo Bongiorno

A PAOLO BONGIORNO

Ho acceso per te un cero

che illumina notti insonni

quando pioggia nasce col chiarore

e picchia forte sui vetri

come colpi di lupara

a tradimento verso sera

bruciando il respiro dei polmoni

protetti da una ritta schiena

e quel muretto che al vento…,

si sgretola di polvere

che grigia e pesante intasa l’anima

che giace e riposa in un cimitero

col tuo nome a rischiarare

il nuovo giorno, di fertile speranza

di un color fiorito

che sul volto del rinnovo rifiorisce

il suo abito dipinto in volo.

(FABIO STRINATI)

Il sindacalista Paolo Bongiorno, di 38 anni, segretario della camera del lavoro di Lucca Sicula, padre di cinque figli ed uno in arrivo,  veniva ucciso alle 22.30 del 27 settembre del 1960 con alcuni colpi di fucile caricato a lupara alla schiena e che erano stati sparati da ignoti killer nascosti dietro lo spigolo di un muro. Bongiorno emise un forte grido di dolore e, dopo aver fatto alcuni balzi in avanti, stramazzò al suolo in fin di vita

 Cadeva a pochi passi dalla sede di quella Camera del Lavoro dove ogni giorno coraggiosamente difendeva i diritti dei lavoratori. Proprio quella sera aveva presieduto una riunione della Commissione di collocamento e stava tornando a casa, soddisfatto per i risultati ottenuti. Bongiorno era candidato nella lista del partito comunista per le elezioni amministrative che si sarebbero svolte pochi giorni dopo. Le indagini, dirette dal capitano Mannucci, della Compagnia dei Carabinieri di Sciacca e dal Brigadiere Inzerillo Girolamo, che  comanda la Stazione dei Carabinieri di Lucca Sicula seguirono varie piste. “Riguardo al movente del delitto – scrivessero allora i maggiori quotidiani – non viene esclusa anzitutto la causale politica dell’omicidio, in conseguenza di contrasti sorti, molto probabilmente, nella imminenza per le elezioni amministrative”.  Bongiorno era candidato nella lista comunista e può darsi che la causa prima dell’attentato sia da ricercarsi in un dissidio con elementi del luogo. Nel comunicare l’avvenuto delitto alla Procura della Repubblica di Sciacca,  il Maresciallo Inzerillo, esprimeva invece considerazioni molto diverse  : “L’uccisione del Bongiorno provocava viva indignazione fra questa popolazione, soprattutto per il fatto che egli lasciava sul lastrico la moglie in stato di avanzata gravidanza e cinque figli. Tale pietosissima realtà, veniva, purtroppo, inumanamente e immediatamente offuscata o quasi completamente dimenticata, perché gli sguardi e l’attenzione dell’opinione pubblica in generale e dei superficiali e creduloni in particolare (fra questi ultimi compresi la moglie e i parenti della vittima), vennero attratti dall’alone di viva luce politica col quale gli esponenti comunisti avevano voluto prontamente e opportunamente mettere in risalto il delitto. (…) In effetti – sottolineava il Maresciallo Inzerillo – il Paolo Bongiorno era semplicemente il rappresentante della categoria braccianti di questo comune, aderenti alla CGIL”.

Per il partito comunista di Lucca Sicula, infatti,si trattava di un chiaro delitto politico, ordito dalla mafia locale, in considerazione del fatto che Bongiorno era un uomo di punta del PCI e si era distinto per la sua accesa lotta contro il tentativo della cosche locali di controllare il mercato del lavoro. Si tratta pertanto di una ritorsione. Il caso Bongiorno giunse in Parlamento e venne posto all’attenzione della commissione antimafia.

Era nato il 30 luglio 1922 a Cattolica Eraclea. Figlio di Giuseppe e Giuseppina Renda. Il padre era un povero jurnataro.  Paolo aiutava la sua povera famiglia come poteva. Innanzitutto studiava,   ma quando la povertà della famiglia lo costringeva, con i fratelli andava al fiume Platani a raccogliere la liquirizia  che poi rivendeva ai commercianti.  D’estate soprattutto lavorava nei campi col salario a giornata. Mieteva il grano, raccoglieva le mandorle, l’uva, le olive e faceva persino il manovale quando gli si offriva qualche proposta . Fin da piccolo, quindi, conobbe la dura condizione dei lavoratori, le loro richieste, la tristezza di una vita precaria.  Superati gli anni da “Balilla”, obbligatori durante il fascismo, Paolo non si fece imbonire dall’indottrinamento mussoliniana.
Dopo che furono emanati i decreti Gullo, coi quali il governo concedeva ai contadini le numerose terre incolte  dei nobili latifondisti, anche a Cattolica Eraclea i contadini si organizzarono e diedero l’assalto al latifondo.   In quel periodo Paolo si sposò a con Francesca Alfano (il 22 ottobre del 1944 a Cattolica Eraclea).

 Anche Paolo partecipò alle numerose cavalcate organizzate nel suo paese dai dirigenti comunisti, in particolare  Francesco Renda e Giuseppe Spagnolo. La mafia cercò allora di fermare quel movimento di lotta con le bombe: vi fu un grave attentato ai danni di Aurelio Bentivegna, vice-sindaco del CLN e segretario del PSI, nel quale rimase ucciso Giuseppe Scalia, dirigente sindacale locale che era in sua compagnia. Nel 1946, per la prima volta anche a Cattolica , si svolsero le elezioni amministrative libere e Paolo Bongiorno si schierò apertamente per  il Blocco del Popolo che vinse le elezioni. Giuseppe Spagnolo fu eletto sindaco di Cattolica Eraclea. Per la prima volta nella storia del paese un contadino ricopriva la carica di primo cittadino.

Ma per Bongiorno divenne difficile trovare lavoro e così fu amaramente costretto ad allontanarsi di qualche chilometro dal suo paese, perché trovò migliori possibilità nel 1949 per una duratura occupazione a Lucca Sicula, grazie all’aiuto del suocero che viveva in quel paese. Ma la fortuna non lo accompagnava in quegli anni: ricominciò subito a lavorare come bracciante agricolo, ma con scarsi risultati economici, così  Paolo scelse la strada dell’emigrazione. Partì per la Francia dove lavorò, ma solo per 40 giorni come manovale. La nostalgia per la moglie, i figli e anche  per la propria terra lo riportarono molto presto in Sicilia. Tornò nella sua nuova casa di Lucca Sicula e riprese  a lavorare in campagna, adattandosi a condizioni e paghe di lavoro pietose.

Riprendendo i contatti col duro mondo del lavoro dei contadini, Paolo, dotato di una straordinaria sensibilità,  cercava una via di riscatto per sé e per i compagni di lavoro. Senza tentennamenti preferì la via dell’impegno politico e si iscrisse  al partito comunista di Lucca Sicula. Si distinse per la generosità dell’impegno e per la cura e l’attenzione verso i problemi di tutti. Anche se aveva solo una licenza di scuola elementare, riusciva comunque a comunicare bene il proprio pensiero e a farsi interprete dei bisogni della gente che sempre più numerosa si rivolgeva a lui per un sostegno.  Dopo un po’ di tempo, fu nominato segretario della Camera del lavoro locale. Con passione cominciò ad interessarsi dei problemi che assillavano la categoria dei braccianti, toccando dunque la suscettibilità dei datori di lavoro. Aiutava persino gli anziani a compilare le pratiche della pensione: “una volta una signora rimase talmente contenta di aver ottenuto la pensione grazie a lui che voleva ricompensarlo donandogli una parte della sua prima pensione, ma lui non l’accettò e rifiutò anche i due litri di olio che, come semplice ricordo, la signora gli volle donare e le disse che, se proprio ci teneva, doveva venderlo e portare i soldi alla Camera del lavoro,  così gli iscritti avrebbero potuto pagare parte delle spese correnti per tenere attivo l’ufficio”. (Testimonianza di Pietro Bongiorno, figlio della vittima, pubblicato su: La Memoria ritrovata. Storie delle vittime della mafia raccontate dalle scuole. Pubblicazione curata dal ProgettoLegalità in memoria di Paolo Borsellino e di tutte le vittime della mafia. 2004, Palermo).

Paolo si impose autorevolmente come un vero leader del movimento contadino e sindacale. Molti gli riconoscevano un carisma straordinario; anche gli avversari politici lo rispettavano per l’onesta intellettuale e la tenacia con cui conduceva le trattative sindacali. Ma la lotta per far valere i sacrosanti diritti dei lavoratori in paesi spesso abulici era dura.  Organizzava numerosi scioperi locali reclamando con forza paghe più alte e orari di lavoro più dignitosi e guidava i lavoratori in manifestazioni provinciali e regionali. A Lucca Sicula ancora molti ricordano con quale entusiasmo riorganizzò la Festa dell’Unità, che da anni ormai era andata in disuso. Decisivo fu il suo contributo nella campagna elettorale del 1956 nella quale partecipò attivamente, facendo anche numerosi comizi e venne apprezzato per la forza delle argomentazioni, la concretezza dei discorsi e l’efficacia con cui argomentava le sue idee politiche.

Ma più cresceva l’impegno di Paolo Bongiorno nella Camera del lavoro e crescava contro di lui l’odio dei suoi avversari politici. Per ritorsione nei suoi confronti e per smorzarne l’entusiasmo, i datori di lavoro evitavano di assumerlo o lo licenziavano dopo poco tempo. Così gli era sempre più difficile trovare lavorò. Ma Paolo si arrangiava come poteva: lavorava a jurnata, come muratore, bracciante… qualsiasi cosa purché si lavorasse. Intanto la famiglia Bongiorno si faceva sempre più numerosa, erano nati Giuseppe, Pietro, Giuseppina, Salvatore,Elisabetta. Non gli mancò comunqua il sostegno dei familiari e degli amici e in particolare quello dei suoi compagni di partito, che per la stima che di lui avevano non indugiarono nel 1960 ad inserire il suo nome nelle liste dei candidati del Pci al Consiglio Comunale di quell’anno. Probabilmente il partito puntava su di lui per la candidatura a Sindaco, considerando la stima e la fiducia che verso di lui tantissimi avevano a Lucca Sicula, dove tra l’altro in quei giorni Bongiorno stava organizzando uno sciopero dei lavoratori che si annunciava come un grande successo.   Il partito comunista di Lucca presentò la lista per le elezioni comunali il 26 settembre del 1960, la sera dopo Paolo Buongiorno venne assassinato.

“A mio giudizio, il povero Paolo Bongiorno venne ucciso perché era stato incluso nella lista del mio partito. (…) In merito all’attività sindacale svolta dal Bongiorno posso dire che in occasione della passata campagna di mietitura lo stesso si interessò per un migliore trattamento dei braccianti agricoli, chiedendo per essi una retribuzione giornaliera di 3.000 lire per otto ore di lavoro. Tale richiesta urtò i produttori i quali non risparmiavano, ovunque si trovassero, critiche e commenti sfavorevoli verso il Bongiorno e le sue richieste”, riferì ai magistrati Oliveti Salvatore.
uno dei molti amici della vittima quando venne interrogato. La vedova Bongiorno non aveva dubbi: l’omicidio era legato all’attività politica e sindacale che il marito svolgeva in favore dei braccianti e dei meno abbienti. Dopo una veglia straziante che si protrasse per tutta la notte intorno alla salma del dirigente politico ucciso, alle ore 13 circa del 28 settembre, si svolsero i funerali.
A dare l’estremo saluto al valente dirigente politico giunsero il Segretario Regionale della Camera del Lavoro, Pio La Torre (anche lui, 22 anni dopo, nel 1982, è stato ucciso dalla mafia) e tanti dirigenti regionali della federazione comunista e del movimento sindacale. Non fu dato saper chi esplose quei due colpi alla schiena; i “colpi di grazia” della mafia, perché chi doveva capire capisse. Anche in questo caso le indagini non riuscirono a fare luce sul delitto.

di Elio Di Bella da agrigentoierieoggi

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