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Un “contratto” di governo di stampo razzista

Il nuovo governo partirà come un rullo compressore, forte di un consenso parlamentare già annunciato, più ampio della maggioranza che sostiene il governo. I migranti pagheranno il conto. Il tempo della democrazia autoritaria
Le prime dichiarazioni del presidente del consiglio incaricato che si propone “di essere l’avvocato difensore del popolo italiano” lasciano chiaramente presagire quale sarà il vettore che segnerà le scelte legislative e amministrative della maggioranza dei due partiti populisti usciti vincenti dalle ultime elezioni politiche.
“Popolo italiano” che, anche a causa dell’infausto stop della legge sulla cittadinanza, favorito dalle tattiche parlamentari scelte del Partito democratico nella scorsa legislatura, sarà sempre più connotato dall’appartenenza per nazionalità dei genitori e non dalla cittadinanza per nascita o  di residenza. Un viatico per prassi amministrative e movimenti d’opinione che si caratterizzano giorno dopo giorno per una crescente pulsione discriminatoria, se non apertamente razzista, che ha trovato sanzione formale nel cosiddetto “contratto di governo”.
Una espressione, quella usata da Conte all’uscita dallo studio di Mattarella, che nella sostanza riafferma “il primato degli italiani” vessillo elettorale di Salvini, e che lascia presagire una larga maggioranza in parlamento, quando sui provvedimenti contrari ai migranti ed ai diritti dei richiedenti asilo si aggiungerà il voto delle destre di Berlusconi e della Meloni, rimaste tagliate fuori nella formazione del nuovo governo.
Nelle ultime dichiarazioni, contro il Presidente della Commissione europea Juncker, della leader di Fratelli d’Italia, in linea con la campagna elettorale di Berlusconi, appare evidente lo squallore morale e la devastante consistenza politica della nuova maggioranza che si formerà alla Camera e al Senato non appena si tratterà di demolire i diritti fondamentali delle persone migranti. Non si deve comunque dimenticare che Juncker è uno degli artefici delle politiche di esternalizzazione e di rimpatrio forzato promosse dall’Unione Europea con i Migration compact. Politiche fallite, come dimostrano i modesti risultati delle Relocation, ma che sono state entusiasticamente accolte anche dal governo Renzi e poi da Gentiloni con Minniti.
Il richiamo di Conte al diritto di asilo europeo, che in Italia e in tutti i paesi Ue sta attraversando una riduzione sostanziale, nel corso di un faticoso tentativo di riforma che a Bruxelles non riesce ancora a trovare sbocco, potrebbe comportare in futuro lo schieramento dell’Italia con quei paesi del gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, e adesso anche Austria) già in mano a governi xenofobi che stanno tentando in tutti i modi di bloccare le vie di ingresso e di ridurre i diritti dei richiedenti asilo e dei migranti tutti.
Nella prospettiva della riforma del diritto di asilo europeo, che si vorrebbe fare passare con Regolamenti vincolanti, che prendano posto delle attuali direttive che assegnano troppa discrezionalità ai legislatori nazionali, si potrebbe però consumare un primo scontro tra partiti populisti dell’Europa centrale, da sempre contrari a qualsiasi forma di redistribuzione (relocation) verso nord e i partiti populisti italiani, che chiedono maggiori possibilità di transito, verso altri paesi europei, dei migranti soccorsi nelle acque del Mediterraneo (dal momento che ormai gli sbarchi veri e propri sono, di fatto, ridotti al minimo). Il vicolo cieco nel quale si trova la proposta di modifica del Regolamento Dublino e lo scarto tra le posizioni del Parlamento europeo e quelle del Consiglio e della Commissione Ue lasciano presagire un ennesimo accordo al ribasso che ben difficilmente soddisferà le richieste dei paesi più esposti come Grecia e Italia.
Tutti i leader europei si troveranno d’accordo soltanto sulle politiche di rimpatrio e sugli accordi di respingimento e riammissione con i paesi terzi, anche se sono in mano a crudeli dittature. Le ragioni del liberismo economico e la ventata populista spingeranno verso la conferma delle intese con stati come la Turchia di Erdogan e l’Egitto di Al Sisi. Intese firmate sulla pelle dei migranti e della parte più debole delle popolazioni di quei paesi. Intese che non portano alla pace ma che alimentano i conflitti regionali e producono quindi nuovi movimenti migratori forzati. Su queste intese si chiude il ciclo dell’Europa dei diritti.
Su due questioni, particolarmente delicate perché legate a un cardine delle costituzioni democratiche, l’habeas corpus (art. 13 della Costituzione), i nuovi governanti, “difensori del popolo italiano”, tenteranno di partire come un rullo compressore, forti di un consenso parlamentare interno, già annunciato, assai più ampio della maggioranza che esprimerà ministri e presidente del consiglio. Sono due punti chiaramente indicati nel Contratto di governo, il prezzo imposto da Salvini per dare via libera alla formazione di un governo affidato alla guida di un premier indicato dal movimento Cinque Stelle. Un prezzo che andrà adun rapido incasso elettorale in favore della Lega, mentre ci vorranno anni prima che gli italiani vedano i benefici promessi dai pentastellati sul piano del lavoro, delle pensioni e dei diritti sociali (se mai arriveranno).
Si può essere certi che nei primi provvedimenti del nuovo governo, se le sue evidenti contraddizioni interne non ne faranno abortire la nascita, ci saranno misure legislative ed esecutive per estendere in tutte le regioni italiane, come già voleva Minniti, e per una durata di diciotto mesi,  la detenzione amministrativa degli immigrati irregolari, da internare nei cd. CPR (Centri per i rimpatri). Una soluzione legislativa già tentata in passato dal ministro Maroni e sonoramente sconfitta nel 2011, oltre che dalla impraticabilità delle prassi, e dalla capacità di reazione dei migranti e dei cittadini solidali, da una importante sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
I centri di detenzione amministrativa e le carceri saranno i luoghi strategici nei quali si ridefiniranno le politiche della (falsa) sicurezza. L’Italia è stata condannata in questa materia anche dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. In questo quadro, il cosiddetto. Hotspot Approach proposto dall’Unione Europea nel 2015 con due decisioni del Consiglio prive di valore legislativo, e poi attuato in Italia con circolari amministrative che sono rimaste prive di basi legali, pur intaccando i principi costituzionali sanciti dall’art.13 della nostra Carta Fondamentale, assumerà una valenza tutta ripiegata sulla limitazione della libertà personale e sulla compressione a tempo indeterminato dei diritti fondamentali della persona migrante. A Palermo un Hotspot non si farà, dovranno passare sui corpi dei cittadini solidali. Ovunque la resistenza verso nuovi campi di detenzione per stranieri irregolari sarà fortissima.
La seconda decisione, di portata prevalentemente propagandistica, che il nuovo governo potrebbe assumere nei primi giorni del suo mandato, sarà certamente costituita da una riorganizzazione dei voli di rimpatrio, anche quelli finanziati da Frontex, attualmente quasi bloccati, dopo i ricorsi alle Corti internazionali e ai giudici nazionali per gli abusi riscontrati in diverse operazioni di allontanamento forzato, oltre che per la scarsa “collaborazione” dei paesi di origine. Sotto questo profilo l’Unione europea continuerà a fornire risorse che non saranno sufficienti neppure per una minima parte delle 600.000 persone che le destre, nei loro manifesti elettorali, volevano rimpatriare. Per il resto, il costo di questi rimpatri, in termini di conflitto, oltre che di oneri economici, ricadrà tutto su quel “popolo italiano” che oggi si vuole assumere come soggetto al quale garantire una tutela prioritaria. Ci vorrebbero decine di miliardi di euro per finanziare i centri di detenzione, i voli di rimpatrio, anche in versione “congiunta” Frontex, ed i paesi che dovrebbero accettare gli accordi di riammissione.
Vedremo nei fatti chi pagherà davvero il costo maggiore di queste politiche e quanto benessere o maggiore sicurezza ricaverà il “popolo italiano” da una diffusa conflittualità con i migranti. Perché il conflitto non si limiterà soltanto ai migranti irregolari, ma riguarderà anche i milioni di immigrati e asilanti regolarmente residenti in Italia da anni, comunque sottoposti a una situazione di precarietà e di discriminazione, che può produrre ogni giorno il passaggio in una condizione di irregolarità. E dalla irregolarità al carcere il passo sarà sempre più breve.
Si registrerà invece una linea di continuità con la politica e le prassi imposte dall’ex ministro Minniti e poi dai vertici della Marina Militare e della Guardia costiera nelle attività di ricerca e salvataggio in mare (SAR), che si tenterà ad affidare alla sedicente Guardia costiera libica anche in acque internazionali. Quando ormai dovrebbe essere a tutti evidente che la Libia, o quello che ne rimane, non offre “place of safety” (porti sicuri di sbarco). Non esiste una zona SAR libica operativa e riconosciuta dall’IMO. E manca un coordinamento centrale (MRCC) libico, di fatto il coordinamento delle operazioni di intercettazione in alto mare, anche con uso delle armi, affidato ai libici, è operato dai comandi della Marina militare e della Guardia costiera italiana. Lo hanno accertato i giudici dei diversi tribunali che in Sicilia si sono occupati dei procedimenti penali contro le ONG. Ma gli italiani, gli stessi che hanno creduto alle promesse elettorali dei partiti di governo, si faranno certo convincere del contrario. E già partita la campagna propagandistica per dimostrare un calo dei rischi che corrono i migranti, bloccati o abbandonati in acque internazionali, e affidati alla Guardia costiera di Tripoli , strenuamente difesa dall’ambasciatore italiano, e alle milizie di Zawia. Sembra che delle torture inflitte ai migranti in Libia, anche a quelli trattenuti nei centri governativi, non importi nulla a nessuno. Presto il nuovo governo italiano potrebbe essere chiamato a difendersi davanti la Corte Europea dei diritti dell’Uomo per gravi violazioni della CEDU commesse dal governo Gentiloni-Minniti.
I testimoni delle violazioni del diritto internazionale danno fastidio. Nel solco delle politiche e degli accordi bilaterali promossi da Gentiloni e Minniti, proseguirà l’attacco alle Organizzazioni non governative, colpevoli di non abbandonare vite umane in alto mare. E proseguiranno gli attacchi contro tutti i cittadini solidali che si schierano quotidianamente a fianco dei migranti. La legalità e la sicurezza si realizzano soltanto se si applicano i principi di solidarietà e non certo sacrificando il diritto alla vita e alla dignità umana, mortificando diritti e corpi delle persone che non rientrano nella definizione di “popolo italiano”.
La campagna di opinione che, a partire dallo scorso anno, ha avuto diversi risvolti giudiziari, contro quelle navi armate da Organizzazioni umanitarie, che sono state impropriamente definite come “taxi del mare”, deve ancora produrre i suoi effetti più devastanti, di certo ha segnato un punto di svolta. Salvini pensa ancora che sarebbe meglio affondare le navi delle Ong?. Di Maio continuerà a sostenere gli accordi con il governo di Tripoli stipulati da  Gentiloni e Minniti con Serraj? Al calo degli arrivi, anche quest’anno, corrisponde un forte aumento, in percentuale, delle persone che perdono la vita in mare. I libici dimostrano in modo evidente di non sapere gestire una propria zona Sar in acque internazionali. Vanno solo a caccia delle imbarcazioni cariche dei migranti che sono state segnalate loro dalle navi delle missioni europee. Gli attacchi contro le Ong proseguiranno, tutti i giorni, con scelte politiche, militari e amministrative che frapporranno ogni tipo di ostacolo al corretto adempimento dei doveri di soccorso imposti dalle Convenzioni internazionali. Vedremo quando i tribunali cominceranno ad occuparsi davvero dei casi sempre più frequenti di omissioni di soccorso in alto mare. Sarebbe tempo che qualcuno cominci a sanzionare anche l’omissione delle agenzie europee nel sostegno tempestivo alle operazioni di ricerca e soccorso in mare e le violazioni commesse dale stesse agenzie nelle operazioni di rimpatrio forzato.
Siamo di fronte a un governo che, già nelle linee indicate nel Contratto sottoscritto dai suoi principali azionisti, si accinge a violare consolidati principi e diritti sanciti dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali, tentativo che non è assolutamente nuovo, e che in materia di immigrazione e asilo ha costituito una tendenza di tutti gli ultimi governi che si sono succeduti nel tempo.  Rimane dunque essenziale il ruolo della giurisdizione, la sua indipendenza, la fedeltà ai valori costituzionali ai quali ciascun giudice è vincolato in ogni giorno della sua attività.  Adesso il nuovo governo, e la maggioranza parlamentare che lo sosterrà sulle politiche dell’immigrazione e dell’asilo, potranno portare a compimento i peggiori disegni repressivi. Anche con il ricorso a reati tipizzati in base al soggetto al quale si imputano, al processo penale e al carcere come strumenti ordinari di controllo del conflitto sociale. Una violazione sistematica dei principi affermati dalla nostra Costituzione in materia di giusto processo e di funzione della pena. Principi che valgono per tutti e non solo per gli appartenenti al “popolo italiano”. In nome del quale si amministra la giustizia ma non si governa un paese.
Il “diritto penale del nemico” non si applicherà solo ai migranti irregolari. Gli attacchi nei confronti dei migranti tutti, e dei difensori dei diritti umani, saranno solo il prodromo per aggressioni sempre più violente nei confronti di ogni forma di dissenso sociale e di aggregazione politica o abitativa realmente alternativa. Per quanto questi attacchi possano risultare in contrasto con i valori fondanti della nostra democrazia costituzionale e con le Carte dei diritti sancite a livello internazionale, potrà verificarsi che i giudici non possano, o non vogliano, esercitare un effettivo controllo di legalità, anche sul piano del pieno rispetto del diritto costituzionale. Non sappiamo neppure che ruolo di vigilanza potrà esercitare la presidenza della Repubblica, uscita ridimensionata da questa lunga fase di trattativa per la formazione del governo. Quali limiti a provvedimenti legislativi e misure amministrative che potrebbero diventare un’autentica valanga eversiva, un passo irreversibile verso una democrazia autoritaria nelle mani degli interpreti più scaltri dei populismi di diverso segno? I loro nomi, le loro facce, i loro programmi li vediamo ormai a reti unificate.
Dalle organizzazioni civiche e dalle formazioni politiche che già esistono e sono diffuse in tutte le regioni italiane, anche in quelle governate dalla Lega, occorre passare alla costruzione di soggetti nuovi, di una identità popolare resistente contro ogni forma di sfruttamento e di discriminazione, di una scorta civica dei migranti e delle persone più deboli, e malgrado tutto resistenti. Un nuovo percorso politico, culturale e comunicativo che non può essere segnato da protagonismi o da tentativi egemonici. Occorre una riaggregazione sociale sui territori in grado di difendere i diritti e le libertà sotto attacco, ma anche capace di proporre, e praticare con nuove forme di partecipazione e comunicazione, un governo locale delle autonomie e osservatori permanenti sulle attività delle forze di polizia, edin genere degli apparati amministrativi, in modo da garantire il principio di legalità, i diritti fondamentali delle persone, indipendentemente dalla loro nazionalità, e i valori costituzionali della solidarietà  e della democrazia.
Fulvio Vassallo Paleologo
da Adif

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