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Ripartire dal calcio popolare per tornare a lottare insieme

 “Il calcio popolare negli ultimi anni in Italia è cresciuto parecchio, ma cosa s’intende per calcio popolare?”

Si chiama popolare perché nasce dalla volontà di vivere il calcio in maniera genuina, autogestendo la squadra con un gruppo di tifosi che si sostituisce a presidenti capi e padroni, senza sponsor né business attraverso l’autotassazione e le iniziative benefit e con l’obiettivo di vivere e liberare gli spalti dagli interessi e dai calcoli politico-mafiosi di molte tifoserie organizzate di squadre professionistiche.

La necessità di agire in questo modo dipende dal fatto che il calcio oramai è diventato irraggiungibile a causa dei prezzi esorbitanti dei biglietti, non solo in tribuna ma anche in curva, rendendo sempre più difficile per chi non riesce ad arrivare a fine mese passare una domenica allo stadio (figurati andare in trasferta!); un business creato su misura per un pubblico sempre più controllato, basta pensare alle restrizioni che si è costretti a subire, insieme a orari improponibili dettati dagli interessi dello spettacolo e delle tv.

Se nelle serie maggiori la gran parte dei gruppi ultrà ha deciso di asservirsi al calcio moderno, accettandone le logiche e i ricatti (tessere, tornelli, interessi su trasferte e merchandising, calcio scommesse…), nelle serie minori si ha la possibilità di crescere con dei sani principi creando così un terreno fertile e agile per potersi esprimere.

A causa del sistema calcio moderno molti ultras e molte persone si sono allontanate dalle curve, favorendo cosi l’ascesa non solo della pay-tv ma anche di loschi individui legati alla criminalità e gruppi di destra xenofobi e razzisti, i primi ad arginare o strumentalizzare ogni forma di sincera ribellione.

Questa è una tendenza che deve esser ribaltata. Come?

Ripartendo dal basso, l’esempio del calcio popolare può essere un ottimo mezzo per ricrearsi agibilità nel contesto del calcio e delle curve. Autogestire squadra e curva è un buon modo per tornare a parlare e agire basandosi su rispetto e solidarietà, fratellanza e complicità fra persone che insieme vivono e accrescono queste realtà. Il calcio popolare e chi lo segue devono cercare di ripristinare lo spirito di libertà e di agibilità genuina e indiscriminata tipica della cultura ultras oramai dimenticata nelle serie maggiori.

Un dato importante è l’aspetto dei rapporti che si creano: nascono affinità e complicità, e di conseguenza ci si troverà insieme a tifare, pensare e creare coreografie, cori, striscioni, a restar senza voce, e quando tutto questo esce dai suoi confini, ci si può ritrovare dopo le partite a portare un saluto solidale sotto il carcere, o a organizzare un picchetto anti-sfratto o a favore dei lavoratori in lotta, oppure – come già succede – ad andare a dare il ben servito a dei luridi fascisti. Così le curve si possono trasformare in veri e propri luoghi di condivisione, di pratica e di ribellione.

Questo esperimento del calcio popolare può aprire un nuovo capitolo dell’antagonismo italiano, dato che in curva come nella strada puoi incontrare chi come te è contro questo sistema, e insieme si cresce e ci si fortifica, e si impara a organizzarsi in maniera orizzontale riuscendo a rompere gli schemi imposti da questo mondo.

Mattone dopo mattone si costruirà una valida prospettiva di cambiamento che aggregherà persone anche lontane dai movimenti di lotta, dando il modo di muovere passi verso una direzione rivoluzionaria, non solo per andare in curva ma anche per costruire rapporti di fiducia, rispetto, solidarietà e aggregazione.

Costruire per distruggere
Aggregare per crescere
Lottare per non morire.

Ultras liberi/e

 

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